Carlo – Da Schengen al Green Pass
Venti Febbraio 2005, ore 20: un altro ritorno da Montreal: arrivando in aeroporto è iniziato a
nevicare, improvvisamente, a larghe falde, nel nero del cielo illuminato dalle luci
dell’aeroporto: bellissimo! Quando sono uscito dalla macchina, dopo averla riconsegnata, ho
voluto respirare quell’aria pungente e avvolgente nello stesso tempo, che scaldava il cuore
anche se la temperatura era di meno 15. La neve, fine, impalpabile, quasi secca mi sfregolava
sotto le scarpe e cadendo sul cappotto vi si appoggiava, quasi senza toccarlo, come se fosse
polvere. Mentre l’aereo inizia a muoversi, la pista coperta di neve mi ha dato un grande senso
di pace, tutto si stempera. Ma domani saro’ in Ospedale a Monza.
All’inizio di questo secolo, tra il 2004 e il 2008, ho lavorato come Professore per 5 anni a
Montreal, alla McGill University, facendo quasi ogni mese la spola tra Milano e Montreal,
sovente via New York dato che non esistevano voli diretti tra Milano e la piu’ bella citta’ del
Canada.
Rimanevo a Montreal una decina di giorni ogni volta per gestire la CML clinic che avevo
fondato presso il Jewish General Hospital e anche un piccolo laboratorio. Riuscivo perfino ad
andare a fare qualche partita di pallavolo o qualche cena con amici conosciuti li, un po’ italiani,
un po’ croati e qualche canadese.
Chiacchierando con loro facevo notare, non senza un certo senso di superiorita’ e di modernita’,
quanto loro fossero superati e obsoleti nei controlli tra stati. Nonostante tra le due citta’,
Montreal e New York, ci fosse meno di un’ora di aereo, nei voli che le connettevano si era
trattati da perfetti stranieri: lunghissime file, controllo passaporti, dichiarazioni, esame dei
bagagli. Quando arrivavo dall’Europa passando da New York dovevo sorbirmi prima
l’immigrazione negli USA e dopo quella in Canada. Una volta fui sequestrato per quasi mezzora
in una saletta dell’aeroporto di Montreal per un controllo “random”, probabilmente perche’
quella volta avevo due valigie con me.
E andandoci in macchina non cambiava nulla: alla frontiera controllo documenti ad adulti e
bambini e financo la famosa apertura a sorpresa del portabagagli, come in un perfetto film di
spionaggio.
Invece in Europa era tuttaltra cosa ! Potevamo ormai viaggiare da Palermo a Edinburgo o a
Stoccolma senza alcun controllo, in una nuova nazione: l’Unione Europea o UE.
Mi ricordo come avevo denigrato dentro di me un’insegnante del liceo di mia figlia Benedetta.
Eravamo nel 2004, e per la gita dell’ultimo anno di liceo era stata scelta Barcellona. Qualche
compagno burlone o forse solo un po’ tonto aveva pensato di far girare tra I banchi un fogliettino
per una raccolta di fondi pro-spinello. Fogliettino capitato in mano alla solita studentessa un po’
carogna e consegnato al docente.
Dato che le scuole sono speso poco avvezze al mondo reale, era nato una caso con la C
maiuscola, anzi con due o tre “C”.
In un’atmosfera da giorno del giudizio si riuni’ il consiglio di classe in cui io e la mamma di una
compagna di Benedetta rappresentavamo gli altri genitori. La docente di arte, una delle
professoresse che accompagnavano I ragazzi, esordi’ quasi gridando: “bisogna attraversare due
frontiere, ben due frontiere”, con la quasi certezza che gli spinelli (l’esistenza dei quali era tutta
ancora da verificare) potessero essere trovati. Mi ricordo lo sguardo, misto di sufficienza e
compassione con cui io e l’altra rappresentate ci guardammo: la prof. non sapeva ancora che ci
fosse Schengen ?
E gia’, perche’ il nome di questa localita’ olandese era divenuta il sinonimo della libera
circolazione di tutti i cittadini EU; e “libera” significa appunto libera: senza restrizioni, senza
controlli.
Mi veniva in mente anche un documento che avevo visto a casa di amici e riguardante un loro
avo vissuto alla fine del 1800, a cui era intestato un “passaporto per l’interno”, cioe’ un
documento per potersi muovere all’interno del neonato regno d’Italia. Mi sembrava una
situazione degna del medioevo o di altre epoche buie e ormai superate e anche un po’
dimenticate. Come mi sbagliavo.
Poi venne il COVID. E tutto cambio’…