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Carlo – Covid, democrazia e ricerca scientifica: progresso o regresso della nostra società ?

Fino a 70-80 anni fa una polmonite poteva essere una malattia mortale per circa un terzo delle persone che la contraevano (https://www.news-medical.net/health/Pneumonia-History.aspx);

un caso simile si poteva fare per altre malattie come un’appendicite acuta, un’infezione delle vie urinarie o della colecisti, un ascesso. Una ferita profonda della pelle infettata da stafilococco era mortale in addirittura  80%  dei casi.
Queste affezioni, molto comuni, sono ora divenute delle malattie quasi banali, e morire di una di esse una rarita’.

Come e’ stato possibile questo cambiamento cosi’ drastico ?

Anche chi non e’ esperto di Medicina ma ha una certa cultura generale non ha dubbi nella risposta: e’ grazie alla disponibilita’ degli antibiotici, sostanze scoperte tra il 1930 e gli anni 80-90.
Dopo la classica scoperta della penicillina, ad opera di Alexander Fleming nel 1928, oltre cento altre molecole sono state identificate per uccidere batteri di vario tipo ma anche funghi responsabili di malattie gravi soprattutto in chi ha poche difese immunitarie, e, in minor numero, virus. L’epoca d’oro per la scoperta di nuovi antibiotici copre il periodo che va dal 1950 al 1990.

I primi antibiotici, come la penicillina, i sulfamidici o la streptomicina, furono delle autentiche scoperte, frutto di ingegno, capacita’ di pensare fuori dagli schemi, di cogliere opportunita’ dove gli altri non ne vedevano. Il caso della penicillina e’ emblematico della curiosita’ quale elemento indispensabile della scoperta: un muffa che aveva contaminato una coltura batterica uccideva i batteri stessi. Sarebbe bastato gettare via la piastra contaminata come “venuta male” per rinunciare alla scoperta.
Gli antibiotici  che seguirono successivamente furono piu’ dei miglioramenti tecnologici che vere scoperte scientifiche, spesso motivati anche da considerazioni commerciali come la scadenza di un brevetto su un farmaco, ma comunque utili almeno in alcuni casi a risolvere problemi reali come la resistenza agli antibiotici.

Ma dove questa serie di scoperte e poi di sviluppi tecnologici e’ avvenuta ?
Fleming era Canadese e lavorava in Inghilterra, ma la produzione in larga scala della penicillina richiese di trasportare il tutto negli USA che avevano maggiori attrezzature e soprattutto erano meno condizionati dalla seconda guerra mondiale che ancora infuriava.

In effetti oltre il 90% dei farmaci successivamente sviluppati sono avvenuti in questi paesi: USA, Europa occidentale e Giappone/Corea del Sud.

Bisogna ricordare che Il periodo considerato (1950-90) e’ stato quello in cui il mondo era diviso in una parte diciamo “capitalista” (USA e paesi anglosassoni in generale, Europa occidentale, Giappone e Corea del sud) ed in una parte che potremmo chiamare “del socialismo reale” (Unione Sovietica, Europa dell’Est,  Cina e paesi satelliti come Cuba).

Mi sorge spontanea a questo punto una domanda: E i paesi del socialismo reale quanto hanno contribuito ? Non posso dire “zero”, ma sicuramente meno del 10%. Una ricerca pubblicata  (DOI: 10.1057/s41599-018-0152-2) menziona non oltre 6-7 antibiotici “scoperti” in quei paesi; inoltre tutti rappresentano variazioni di classi gia’ note di antibiotici.
In effetti, i paesi del socialismo reale erano in perenne difficolta’ nella mera produzione di quantita’ sufficienti degli antibiotici gia’ noti, e avevano gravi problemi nel raggiungere una qualita’ sufficiente per l’impiego umano.
E come mai ?   Forse gli antibiotici non sono strumenti con elevata importanza sociale ? No di certo. Questa domanda e’ centrale per comprendere il senso ultimo di questo saggio.

Per comprender meglio quanto voglio significare vi raccontero’ questa storia, vera, che mi ha bisbigliato un signore bergamasco.  Un suo parente, chiamiamolo Gigi, ando’ in Russia come soldato nella 2 guerra mondiale; finita la guerra non ritorno’ a casa in Italia ma si fermo’ a lavorare in un kolkhoz, una delle fattorie statali russe. Era un ardente comunista e riteneva di aver trovato il paradiso dei lavoratori.  In quel kolkhoz si produceva anche del formaggio, di scarsa qualita’. Gigi proveniva dalla parte meridionale della Bergamasca, conosciuta come “la Bassa”, vicino a Gorgonzola, e prima di andare in Russia aveva lavorato nella produzione del formaggio Gorgonzola, appunto. Quindi, con ingegno e creativita’ di cui noi Italiani siamo dotati probabilmente piu’ di chiunque altro nel mondo, chiese di poter fare un “esperimento” e si mise ad erborinare alcune forme di formaggio con un’asta di metallo. Era il lavoro che era abituato a fare nel caseificio della Bassa dove aveva lavorato per anni prima di andare in guerra. Quel lavoro gli piaceva e ora, ripetendolo, si sentiva piu’ vicino al suo paese di origine.
Quando pero’ si vide il risultato, con le forme di formaggio contenenti le colonie di muffa seminata dall’asta di metallo che Gigi con maestria aveva usato, il povero Italiano fu immediatamente arrestato e accusato di sabotare la produzione di formaggio del kolkhoz.  Accusa gravissima per Gigi, perche’ se il kolkhoz non avesse raggiunto le quote di produzione che erano state assegnate dal Comitato Provinciale del partito, tutti i suoi abitanti sarebbero stati penalizzati, chi nel salario, chi nello status sociale, chi addirittura nella quantita’ di cibo disponibile. Per qualcuno significava passare forzatamente da un appartamento con bagno in casa (un lusso a quei tempi in un kolkhoz Russo) ad uno senza acqua corrente e col gabinetto comune in fondo al cortile.
Un funzionario un po’ meno stupido  degli altri assaggio’ quel formaggio “rovinato” e si accorse, per fortuna di Gigi, quanto piu’ saporito fosse rispetto a quello “normale”.  Gigi fu prosciolto e scagionato dalle accuse di sabotaggio.
Questa storia ci insegna molte cose, al di la della mera vicenda.
Gigi era andato fuori dal “normale” in quella situazione. Ma cosa e’ “normale” ?
Normale e’ quello che fanno o pensano tutti, o almeno la maggioranza delle persone in una comunita’, in un gruppo.  Ci sono anche dei modi di dire per significare in maniera negativa che qualcuno e’ un po’ strano: “non sei normale” !
Pero’ questa “non normalita’ ” e’ la linfa vitale del mondo: Colombo, Leonardo, Galileo, Keplero, Pasteur, Koch, Einstein, per finire con Fleming, sono state tutte persone che sono andate “fuori dagli schemi”, al di la’ del pensiero convenzionale, e il loro pensare e’ andato a vantaggio di tutta l’umanita’. Ma dove questo pensiero e’ stato reso possibile, nutrito e favorito, almeno negli ultimi 150 anni ?

In paesi che, al di la delle imperfezioni che ogni societa’ contiene, si definiscono  democratici, e cioe’ dove chi governa e’ scelto dalla maggioranza degli abitanti e dove c’e’ separazione e bilanciamento tra i diversi poteri: giudiziale, esecutivo e legislativo. Questo concetto puo’ sembrare non connesso alla presenza di un pensiero originale, creativo. Ma solo apparentemente.
Perche’ una societa’ democratico porta con se’ il concetto di alternanza, e questo significa la presenza di opinioni diverse, visioni del mondo differenti, modi di affrontare la stessa situazione non identici: in una parola, il rispetto della diversita’.

Al contrario in una societa’ non democratica chi esce dagli schemi, da quanto previsto e programmato, anche per cose di poco conto (come l’erborinatura di Gigi) e’ immediatamente identificato come diverso, pericoloso, da limitare, controllare o al limite eliminare. Questo rende l’emersione di idee originali estremamente difficile e rischiosa, per non dire impossibile in societa’ dove manca una struttura democratica reale.
Le societa’ non democratiche sono poi spesso caratterizzate anche da una programmazione dall’alto della vita economica: il termine “piano quinquennale” fu coniato proprio in Unione Sovietica, non certo negli USA. Questa condizione fa si che non solo il pensiero creativo venga immediatamente abortito,  ma anche il semplice sviluppo tecnologico (passare dai primi antibiotici a quelli sviluppati negli anni 70-80) sia reso difficile.
La presenza di un economia piu’ “di mercato” con meno vincoli e programmazione centrale, ma senza la presenza di una societa’ democratica (come avviene ad esempio in Cina) rende possibile lo sviluppo tecnologico (passare dal 4G al 5G ad esempio) ma non il pensiero creativo (inventare lo smartphone).
Queste considerazioni dovrebbero risultare positive e  incoraggianti per noi abitanti delle societa’ democratiche: le cose nuove, che cambiano il modo di vivere di tutti noi, passeranno sempre di qui.  Questo dovrebbe tranquillizzarci ad esempio nei confronti di paesi come la Cina: la’ il lavoro costa poco ma le cose nuove dovranno sempre arrivare da noi, con tuti i vantaggi connessi. Certo: assumendo che di cose nuove ne vengano sempre.

E qui fa la sua comparsa il COVID, vero convitato di petra di questo racconto.

Il COVID ha sicuramente determinato una riduzione delle liberta’ individuali e della democrazia in tutto il mondo, anche se con gradi diversi e partendo da livelli diversi. E’ nozione comune che in molti paesi, compresa l’Italia, l’espressione piu’ alta della democrazia e cioe’ le elezioni, siano state posticipate o annullate con la scusa del COVID.

Quindi diversi paesi, con livelli di liberta’ e democraticita’ di base molto diversi, hanno subito delle limitazioni della liberta’ personale di livello molto differente.
Questo fatto ha implicazioni diverse per quanto riguarda il pensiero creativo nei diversi paesi e societa’.
Dove la democraticita’ era gia’ assente o molto “di facciata” un ulteriore costrizione della liberta’ non causera’ gran danno alla creativita’ che gia’ e’ molto scarsa. Come a dire: un terreno gia’ sassoso e secco non cambiera’ di molto la sua capacita’ di far crescere del riso, se diviene una distesa desertica di sabbia.
Ma per una societa’ dove la creativita’ ha sempre avuto un posto importante, se non altro per poter sopravvivere ad uno stato inefficiente e inaffidabile, perdere liberta’ e democrazia rappresenta un rischio mortale, una sorta di “danza col demonio”.

Il COVID ha sicuramente accelerato un processo di involuzione della democrazia per altro gia’ in movimento da tempo: la gente non si sente piu’ rappresentata dai partiti politici, c’e’ una generale sfiducia nella capacita’ del governo, di qualsiasi parte ideologica o colore politico, di affrontare e risolvere i problemi, in quanto il politico e’ considerato non chi si interessa della cosa pubblica, ma un burattino messo li da qualche gruppo di potere (notai, farmacisti, bagnini, industriali, agricoltori….) per fare il proprio interesse.
Sempre piu’ spesso elezioni vengono vinte per pochissimi voti, tra candidati che faticano a differenziarsi uno dall’altro, e che poi in effetti non si differenziano neppure per quello che fanno, una volta eletti. Quindi c’e’ da chiedersi, e molti lo fanno, a cosa servano le elezioni. Se questa e’ la tendenza generale, il passo  potrebbe essere piuttosto breve e scivoloso verso un china che dice piu’ o meno cosi’:  “una dittatura ha i suoi vantaggi: e’ piu’ rapida ed efficiente”.
E dove ci portera’ alla fine questo ballo col diavolo che da anni stiamo gia’ danzando ? Ci condurra’ ad un inaridimento del processo creativo, dell’invenzione di nuovi prodotti, della capacita’ di mantenerci sempre davanti all’onda senza esserne sommersi; in una parola alla rinuncia del nostro futuro, oppure a un futuro di rinunce. Come a dire: “non sara’ la Cina a diventare come noi, ma noi come loro”.

Certo rimarra’ lo sviluppo tecnologico, ma per quello un mercato sufficientemente flessibile, ma non libero, quale quello in Cina, puo’ bastare.

Quindi innovazione, liberta’ e democraticita’ della societa’ sono intimamente interconnessi. Lottare contro il terrore generato dal COVID significa combattere per la democrazia e con essa per il futuro della nostra societa’.